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Channel: castello di meleto – Andrea Pagliantini
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Camminare per la bellezza

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chiesa di san piero in avenano vigneti di meleto (2) vigne e castello di meleto ammazza suocere chiesa di san piero in avenano (2) muschio san pierone merlò con i piedi a mollo il palazzo di san pierone

«Non c’è nulla di più sovversivo, di più alternativo al modo di pensare oggi dominante. Camminare è una modalità del pensiero. È un pensiero pratico. È un triplo movimento: non farci mettere fretta; accogliere il mondo; non dimenticarci di noi, strada facendo».

E’ in compagnia di una rustica bellezza il cammino in questo lembo di Chianti poco “valorizzato” che casca in qualche tetto ma almeno permette di vedere come erano le cose prima dell’arrivo dei geometri ruggenti che hanno trasformato il vecchio e il vissuto in brutte copie patinate.

La mota è fedele compagna sugli stivali e la pioggia disegna mille rivoli nei filari di vite lavorati.
L’edera avvolge la parete nord di una vecchia chiesa di cui si ciba e allo stesso tempo ne sostiene i muri.

Un ciliegio dall’età indefinita è scosciato di un arto voluminoso da qualche bipede predatore.

Una fonte per lavare i panni dove Francescone era commosso e felice per aver trovato tale comodità all’inizio degli anni ’90.

Frullata di fagiano, mai tanti fringuelli, una turista di origine danese che dice “Parino, alò che se va” al figlio fava che non vuole camminare.
Vigne di Meleto, chiesa di San Piero in Avenano, il virgolettato iniziale è di Adriano Labbucci autore del libro “Camminare, una rivoluzione“.


Fumo di toscano sul castello di Meleto

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fumo di sigaro toscano castello di meleto fra la nebbia fumo di sigaro toscano (2) la panchina verde scortecciato castello di meleto panchina sul mondo nebbia di meleto nebbia di meleto (2) nebbia su meleto

Una panchina color verde scortecciato è rivolta verso un ampio orizzonte visivo che lascia intendere la massiccia sagoma dell’Amiata in una penombra sfuocata come una radiografia venuta mossa.

Tutto luccica di sole tranne la bacinella intorno al castello di Meleto avvolto da una sciarpa di nebbia. Effetto fascinoso e non consueto.
Arriva un uomo di mezz’età che si eccita alla vista della nebbia in lontananza e cerca di condividere questa emozione.
“Che bella la nebbia è? Pare Milano!!!”

“Milano? No, non è nebbia, è fumo di toscano”.

Vertine – San Bastiano, il sentiero della processione del lunedi santo

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adine carte dei sentieri castello di meleto san piero troiaio di cebernè san piero (2) vertine di fronte san bastiano san bastiano (2) san piero in avenano troiaio di cebernè vertine dal poggio di san bastiano il borro delle piana la fabbrica del vino salita sassosa

Il lunedi di pasqua, il pesante Cristo di legno sonnecchiava nella chiesa di Vertine, veniva caricato a spalla e trasportato di peso in un percorso piuttosto agevole fino al fondo valle e da li, traversata la strada conduce a Radda, si trova un ponticino sospeso sul borro delle Piana con una strada che lentamente sale.

Duecento metri di dislivello (circa 1,5 km) per arrivare alla chiesa di San Bastiano sul poggio opposto, su una stradina sassosa e sconnessa di fossi da pioggia, incuria del tempo, con un tratto finale che impenna drasticamente per finire in un pianoro coperto dai soliti millanta cipressini che oscurano il paesaggio da cui si domina una bellezza infinita e sonnecchia, con il suo campanile a vela, la chiesina di San Bastiano.
Portare a spalla in processione fin lassù un Cristo pesante e bardato voleva dire o avere tanta fede o tanto spirito di sacrificio.
A Vertine la fede ha sempre patito l’asciuttore anche se regolarmente l’immagine sacra il lunedi santo veniva portata a spalla e volava qualche gloria contadina.
L’ultima volta che Pasquale M. portò il Cristo a San Bastiano, lo guardò a lungo negli occhi come un’inquadratura di Sergio Leone e gli disse:” Te o metti le gambe o con me quassù non ci torni”.

Il percorso si riesce a coprire a passo tranquillo in un’ora e mezzo……..senza  il Cristo che doveva essere riportato a Vertine dopo la celebrazione della messa.

Oggi è il compleanno di Stefania Pianigiani Bis, Capric e Primo Aggiustagatti, medico condotto di pazienti con la coda non di paglia.
Auguri di cuore.

I luoghi del cinema

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Sono molti i luoghi oggetto di riprese e di set cinematografici sparsi per la Toscana e per la provincia di Siena.
Film valenti e pellicole per pochi intimi, film di caratura internazionale e film che se non erano stati partoriti nessuno ne avrebbe avvertito la mancanza: uno su tutti “Amici Miei atto quarto” affidato alla congrega De Sica (Cristian) Panariello ecc. ecc e girato nella piazza e nei dintorni di Monteriggioni.
Una giornata di cinema visto attraverso i luoghi dei set in cui sono stati girati i film potrebbe essere divisa e vissuta fra queste località con prosciutto buono e bicchiere di sangiovese saggio, quindi non dal colore impenetrabile.
Al Castello di Meleto arrivò Carlo Verdone per girare “Al lupo, al lupo”

San Donato in Perano ” Con gli occhi chiusi” di Francesca Archibugi, tratto da un racconto di Federigo Tozzi con Debora Caprioglio e Stefania Sandrelli

Al paese fantasma di Castelnuovo dei Sabbioni “Ivo il tardivo” di Alessandro Benvenuti

Monteriggioni per “Cari fottutissimi amici” di Mario Monicelli con Paolo Villaggio

Sant’Anna in Camprena e Pienza “Il paziente inglese” di Antony Minghella con Ralph Fiennes, Juliette Binoche, Kristin Scott Thomas, la “faccia di chiulo” di Quattro matrimoni e un funerale.

La Torricella e la Villa di Geggiano per “Io ballo da sola” di Bernardo Bertolucci con Liv Tyler e Jeremy Irons.

La Val d’Orcia per “Il gladiatore” di Ridley Scott.

Interessante la lettura del libro “Toscana, un film che non finisce mai” di Guido Persichino e Simone Bedetti, edito da Giunti, una guida ai luoghi del cinema…….. che non finiscono mai.

Certe mattine di nebbia

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chianti paesaggio castello di meleto fra la nebbia chianti nebbioso nebbia stretta stanlio-e-ollio la punta dei cipressi gelso moro l'estremo del castello di meleto quercia nella nebbia

Amo la nebbia perchè sa coprire la vista di luoghi quasi inutili come Milano, ma mette in risalto le cime dei castelli e le dorate onde momentane che spazzano nella ciabatta i reticoli delle sgranellature quotidiane quando scappa fuori il primo sole.

La porta (chiusa in faccia) del Castello di Meleto

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Una passeggiata prima del tramonto intorno al castello di Meleto arrivando a piedi dalla vecchia fornace di mattoni, ora ristorante, è un boccone per palati fini.
Si costeggia una vigna dell’azienda di malvasia bianca fino a qualche anno fa adibita a ciliegiolo per rosato, il viale dei meli superstiti carichi all’inverosimile di meline deliziose, si passa nel bosco giardino e si arriva sotto i bastioni a forma circolare.

Dal settecento villa signorile del ramo dei Firidolfi da Meleto, con un teatrino interno, le cantine scavate nelle fondamenta, il tunnell che comunica con il vecchio frantoio a macine di pietra, in uso fino a non molti anni fa.
I pollai, le rimesse, i magazzini restaurati di recente e luogo di accoglienza per turisti.
La porta aperta del castello lascia intavedere il cortile interno con il pozzo mentre si aspetta qualcuno si affacci per chiedere – per conto di un’amica guida turistica giapponese – se è possibile stabilire un contatto fra lei guida e l’azienda per accogliere turisti e appassionati di vino del Sol Levante.

Intanto, nello spazio poco fuori la soglia della porta si chiacchiera rispolverando i ricordi di quando tanti anni fa i bastioni del castello contenevano i caratelli del vinsanto.
In quel momento arriva una ragazza vestita di nero, camicia bianca, grembiule che non si fa in tempo a dire “Buonasera” che risponde senza molta convinzione al saluto e chiude direttamente e velocemente la porta in faccia a chi era a pochi centimetri da lei senza degnare di uno sguardo.
Peccato….. sarà per la prossima volta.

Un volo di rondine a piede libero sulla neve morbida si scioglie

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pieve di spaltenna neve san donato in perano la fonte di vertine il gallo di fabio zacchei (si trova nella buca sotto vertine) cuore che batte sempre la rondine piccina castello di meleto casolare di brolio pieve di san marcellino

Quando ti diranno che t’ho dimenticata,

e anche se sarò io a dirlo,

quando io te lo dirò,

non credermi.

Pablo Neruda

Torna liquido lo zucchero a velo paesaggistico di questo fine settimana e il candore diventa mota da pesticciare e suono di borri colmi d’acqua che vanno a riempire i torrenti.
Il freddo disinfetta i campi e rende preziosi i chicchi di grano riposti nella madia del nido di fronte al camino. Il gelo interiore appanna gli occhiali alle rondini frettolose.

Camminare nel Chianti come era: San Piero in Avenano

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palazzo di san piero (2) san piero cantina di san piero (2) lavatoio san piero fiori di pesco nano (3) camboi fiori di pesco nano san pierino (3) fiori di pesco nano (4) chiesa san piero in avenano fiori di pesco nano (2) palazzo di san piero (4) san piero in avenano (2) san piero in avenano (5) san piero in avenano (6)

Per molti la visione di tetti malmessi e muri coperti di rughe del tempo è segno di degrado e di incuria, per altri la visione di un momento sconnesso è un ringraziamento al cielo per ammiarare uno sprazzo di mondo come era prima che certe strutture e ambienti di lavoro e di fatica diventassero dei puttanifici per geometri senza freni che hanno fatto diventare delle splendide case coloniche dei luoghi incerti per americani privi di gusto e di cultura.
San Piero in Avenano è uno dei pochi scorci di Chianti rimasto tale, ci si arriva a piedi, in mezzo alle vigne fra pochi cipressi e tratti di strada pavimentata a massetto.


Pedalare e camminare nel Chianti d’autunno

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castello meleto vigneti autunno (6) castello meleto alicante bouchet (5) castello meleto vigneti autunno (7) castello meleto alicante bouchet (7) eroica-2015-11 castello meleto alicante bouchet (6) castello meleto vigneti autunno (3) castello meleto alicante bouchet (4) castello meleto vigneti autunno (4)

Prima che le foglie caschino e il freddo si faccia pungente, ci sono gli ultimi scampoli di campagna inzuppata di colori da ammirare, sperando che il terreno umido delle ultime pioggie e la temperatura in assetto costante permettano di friggere qualche fungo gentile e porcino.

Le foglie delle viti del Castello di Meleto: il giallo sangiovese e il porpora alicante bouchet, sono solo un istante breve di un territorio più ampio che fra nebbie mattutine e colori si aprono agli spiragli di sole, permette di camminare o pedalare in mezzo a paesaggi silenti, emozioni come il mare colore del vino quando non c’è nessuno.

Massimiliano Biagi, Castello di Brolio e Rolando Bernacchini, Rocca di Castagnoli: “I cinghiali sono un flagello”, un articolo di Laura Valdesi su “La Nazione”

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pane

 Una concentrazione di cinghiali terrificante che impedisce all’azienda di lavorare», denuncia Rolando Bernacchini. «Si mette a rischio l’unica economia vera del Chianti, creando difficoltà ad imprese che vantano secoli di storia», incalza Massimiliano Biagi. Parlano di ‘mandrie’ di ungulati. E ipotizzano l’esistenza di una sorta di economia sommersa, così la definiscono, «che ruota intorno a questi animali così forte da superare anche la tradizione del vino d’eccellenza. Speriamo di sbagliarci, naturalmente. Ma negli ultimi anni è stata un’escalation per quanto riguarda la presenza degli ungulati». Eppure Gaiole è stato indicato, tempo fa, come il miglior luogo dove vivere in Europa. Anche se la ‘compagnia’, quella dei cinghiali appunto, risulta decisamente ingombrante per un territorio d’eccellenza. «Devastante», per dirla con Bernacchini e Biagi, rispettivamente amministratore delegato dell’Azienda Rocca di Castagnoli e direttore agronomo della ‘Barone Ricasoli’ di Brolio. Che scendono in campo, condividendo problemi e timori con altri colleghi come l’amministratore del Castello di Meleto, per sollevare il velo sulla condizione di disagio che vivono poli produttivi agricoli capaci di scrivere la storia del Chianti.

Segnale chiaro: basta indugi. Servono soluzioni. «Veniamo alle cifre, così c’intendiamo meglio. Castagnoli ha circa il 10% di superficie vitata, 70 ettari. Il 90% della produzione è di Chianti classico. Già lo scorso anno i cinghiali hanno massacrato sei ettari usati per la riserva. Non è stato raccolto neppure un grappolo. Nel frattempo ho protetto con la recinzione metallica consentita dal Comune, comunque visibile, quasi tutti i vigneti spendendo complessivamente 80mila euro. Senza contare le riparazioni continue perché scavano buche anche di 70 centimetri per entrare. Altri, certo non si tratta di ungulati, tagliano addirittura le recinzioni che siamo costretti a sanare pressoché giornalmente», lamenta Bernacchini. Le cifre, si diceva. «Ebbene, hanno rovinato uno dei nostri vigneti più importanti, quello dove si produce ‘Stielle’ di cui ci sono documenti già nel 1153. Diventerà un bosco, se continua così. In più sono stati mangiati ettari realizzati ad alberello. E’ sparito insomma un prodotto top che avrebbe fruttato circa 30mila bottiglie. Non sono distante dal vero se ipotizzo un mancato introito di 450mila euro. Un anno, due forse si può reggere. Poi ci sono 70 dipendenti da pagare». «A Brolio, come a Castagnoli – rafforza il concetto Biagi – sono stati compiuti investimenti, nonostante la crisi che insiste dal 2008. Chiediamo di essere ascoltati, rivendichiamo un’economia vera. Siamo contadini, non pretendiamo scorciatoie quanto piuttosto di lavorare sodo, produrre buon vino ed esportare, mettendoci tanta passione». Casomai non bastasse l’assalto degli ungulati – peggio dell’esercito degli orchi agli ordini di Sauron nel Signore degli anelli –, c’è anche quello dei caprioli. «Il cinghiale fa il danno diretto sull’uva, questi ultimi iniziano dal germogliamento, già a marzo-aprile. Un danno ancora maggiore. Per piantare un vigneto servono 50mila euro ad ettaro, vorremmo riuscire a vederlo entrare in produzione», invoca Biagi. Danno economico, al paesaggio, in prospettiva ricadute letali sull’occupazione. Cosa si aspetta ancora ad intervenire?

 Laura Valdesi

A Brolio viticoltori del Chianti parlano dei danni che gli ungulati provocano all’agricoltura, all’economia e al paesaggio

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E’ diventato difficile coltivare la vite e produrre vino nel Chianti, è quanto emerge dalla conferenza stampa convocata dai rappresentanti di quattro aziende chiantigiane nella sala convegni del Castello di Brolio.
Badia a Coltibuono rappresentata da Roberto Stucchi, Barone Ricasoli da Francesco Ricasoli, Guido Guardigli in rappresentanza del Castello di Meleto e Rolando Bernacchini per l’azienda Rocca di Castagnoli.
Quest’anno si parla di ben 1500 quintali di uva distrutti da una straripante e numericamente incontrollata fauna selvatica che provoca ogni anno centinaia di ettolitri di vino non prodotto che danno luogo a milioni di euro di danni.

Fotografie mostrano le tonnellate di pane (spesso con la protezione di plastica) che vengono sparsi nei boschi insieme a mais per “l’allevamento del cinghiale”.

Un video ritrae una persona intenta a spargere il mais da un secchio circondato da un numero incredibile di cinghiali, in versione moderna quale nuovo pifferaio di Hamelin.

Le quattro aziende presenti, unitamente rappresentano ben 540 ettari di vigna, un fatturato da oltre 30 milioni di euro e danno lavoro a centinaia di persone.

“Sono nato a Brolio – afferma Francesco Ricasoli e nella mia infanzia non ho mai visto un cinghiale o un daino, se volevo guardare uno di questi animali dovevo andare al cinema per vedere un film di Walt Disney.

Dobbiamo riuscire a trovare una soluzione per eradicare questi animali che non fanno storicamente parte del nostro territorio”.

Rolando Bernacchini (Rocca di Castagnoli) traccia l’ultima annata per l’azienda che rappresenta dicendo che nei vigneti migliori l’uva è andata praticamente distrutta nonostante siano stati spesi ben 80.000 euro per la recinzione delle coltivazioni.

“Abbiamo dovuto vendemmiare – dice sempre Bernacchini – non in base alla maturazione dell’uva, ma correndo come pazzi da un capo all’altro dell’azienda per raccogliere i grappoli presi di mira di volta in volta dai cinghiali.
Alla fine abbiamo avuto un danno quantificato in 700 quintali di uva non raccolta che danno luogo a 490 ettolitri di vino non prodotti”.
“Non abbiamo la possibilità di tutelarci, nessuno è contro la caccia ma deve essere svolta nel rispetto delle coltivazioni in atto e ci sentiamo danneggiati dal vandalismo di recinzioni a protezione delle coltivazioni divelte per fare entrare gli animali e persone che alimentano sempre sui nostri terreni la fauna selvatica.  Ti senti accerchiato”.

Giuseppe Liberatore – direttore del Consorzio Chianti Classico – afferma che sono stati presentati continuativamente dal 2007 esposti presso le autorità competenti, auspica una rotazione delle squadre dei cacciatori nel territorio e non più come adesso dove ogni gruppo di cacciatori ha un suo territorio fisso e spera che il passaggio di consegne dalla Provincia alla Regione porti alla risoluzione di questi gravosi problemi.

Roberto Stucchi (Badia a Coltibuono) dice che: ” Le leggi che regolano l’esercizio della caccia ci sono già, non c’è bisogno di crearne altre, basta solo applicarle.
C’è un’economia sommersa che di fatto ha fatto proliferare la popolazione animale a beneficio di pochi.
C’è anche il rischio che si diffonda una malattia pericolosa per l’essere umano, il morbo di Lyme (borreliosi) che si trasmette da zecche e consiste nell’infezione acuta oppure cronica del sistema nervoso centrale.
Badia a Coltibuono – continua ancora Stucchi – ha calcolato un danno di 250/300 quintali di uva distrutta che avrebbero dato circa duecento hl di vino, pari quasi a 30.000 bottiglie.

Guido Guardigli, del Castello di Meleto quantifica in 500 quintali di uva andata persa l’annata 2015 a fronte di continui danneggiamenti alle protezioni dei vigneti, tanto che due operai sono quotidianamente impegnati a girare i reticolati elettrici o fissi per effettuare riparazioni.

Il sindaco di Gaiole in Chianti, Michele Pescini dice che: ” La politica deve uscire dal guscio e applicare le leggi che già esistono, che sono già sufficenti a regolare la situazione.
Ho un contatto continuo con il Prefetto di Siena molto interessato alla questione del sovrapopolamento di animali e della mole di danni che producono.

Con gli altri comuni del Chianti e di Castelnuovo Berardenga abbiamo appena siglato un accordo per creare un percorso di sentieristica che va verso un turismo morbido e di qualità che va a cozzare con le recinzioni a protezione delle coltivazioni, che abbrutiscono il territorio, impediscono il passaggio, ma che sono allo stato attuale imprescindibili per poter raccogliere uva.
Auspico anche un dialogo costruttivo fra aziende e cacciatori per arrivare a ristabilire una logica di caccia più serena e permetta a tutti di svolgere le proprie attività sul territorio”.
Dalla discussione emerge che c’è bisogno di riportare la popolazione animale a livelli tollerabili con severi abbattimenti di cinghiali, daini e caprioli perchè è venuto meno un equilibrio naturale, le aziende non possono più vivere contando ogni anno in milioni di euro i danni subiti e il territorio non può essere svilito con recinzioni a protezione sempre più spesse, alte, fortificazioni che sviliscono la bellezza di un territorio unico vocato da sempre alla coltivazione della vite e alla produzione del vino di qualità.

Ne parlano i seguenti siti di informazione:

Wine Station – Giovanni Pellicci

Antenna Radio Esse – interviste radiofoniche

Il Cittadino – Augusto Mattioli

Ok Siena

Agenzia Giornalistica Italiana AGI

 Libero 24×7

Siena TV (seguirà servizio video)

Vinix

Stefania Pianigiani

Corriere di Siena

La Nazione

Il Gazzettino del Chianti

InChiantiSette

Roberto Stucchi ospite della trasmissione di approfondimento “Primo Piano” di Canale 3 Toscana sul tema danni di ungulati

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Dopo la conferenza stampa a Brolio di giovedi 5 novembre, dove i rappresentanti di 4 storiche aziende vitivinicole che da sole rappresentano ben 540 ettari di vigna  (Badia a Coltibuono, Barone Ricasoli, Castello di Meleto e Rocca di Castagnoli) hanno illustrato la mole di danni provocati dai cinghiali che hanno spolpato la materia prima per produrre vino: migliaia di quintali di uva che non potranno mai diventare bottiglie, Roberto Stucchi (Badia a Coltibuono) ospite del giornalista Jury Guerranti, spiega dal suo punto di vista, al pubblico televisivo senese e toscano, i risultati di una inapplicata politica venatoria e le sue ripercussioni su un territorio che rischia lo svilimento paesaggisto ed economico causato dall’allevamento intensivo del cinghiale.

In questa ottica lunedi 16 novembre, alle ore 10, presso la Camera di Commercio di Siena, sarà presente l’assessore regionale all’agricoltura Marco Remaschi per una conferenza sugli ungulati.

Qui la video intervista a Roberto Stucchi realizzata da Juri Guerranti di Canale 3 Toscana.

Nel Chianti gli animali selvatici bevono più di un Vinitaly, un articolo di Carlo Macchi su Winesurf

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cinghiale e uva (2) cinghiale e uva

Cinghiali, caprioli, daini, cervi e in generale la fauna selvatica chiantigiana consumano più vino di quanto se ne stappi a Vinitaly!

Naturalmente cinghiali e company non lo bevono ma lo mangiano, ognuno con proprie predilezioni: i caprioli infatti amano i germogli delle viti in primavera e certe volte riescono a distruggere interi vigneti, mentre gli altri amano più l’uva e se ne mangiano quantità industriali, arrivando con i cervi a ingurgitarne anche più di 20 chili per volta.

Il dato del Vinitaly l’ho ricavato da una mia personale inchiesta tra i produttori, perché non ne esiste uno che non abbia avuto perdite d’uva a causa di animali selvatici!

Mettiamo che come minimo un’azienda perda 100 chili d’uva, questi diventano almeno 50 litri di vino, e salendo con i quantitativi “bevuti” si fa alla svelta ad arrivare a cifre, purtroppo, da capogiro.

Durante una conferenza pubblica di qualche tempo fa il responsabile di  Rocca di Castagnoli ha dichiarato che, nonostante la spesa di 80.000 euro in recinzioni, gli animali selvatici nella vendemmia 2015 gli hanno mangiato 700 quintali d’uva, pari a circa 490 ettolilitri di vino!!!

Questo non è un dato isolato, perché durante la stessa conferenza Badia a Coltibuono ha parlato di un danno  valutabile in circa 30.000 bottiglie di vino, mentre sempre nella stessa occasione  Ricasoli e Castello di Meleto hanno dichiarato  gravi danni ai vigneti, senza però quantificarli “in vino”. Come potete capire, altro che l’equivalente delle bottiglie bevute al Vinitaly…..

Oramai è chiaro che non si tratta di alcuni animali selvatici ma di una vera e propria popolazione che ogni anno, nonostante le (poche) caccie di selezione, aumenta.
Aumenta nonostante gli agricoltori cerchino in tutti i modi di sensibilizzare le autorità e spendano fior di soldi per salvare il salvabile.

Purtroppo questa situazione, che mina fortemente un settore produttivo come quello della viticoltura, probabilmente porta acqua al mulino di altri settori, in primis caccia e animalisti.
I primi sembra che addirittura vadano a dare da mangiare agli animali nei periodi in cui la caccia è chiusa, per poi ritrovarli “in forze” quando serve.
I secondi guardano i begli occhioni dei caprioli e gridano allo scandalo se vengono toccati.

A monte occorre considerare alcune cose: i cinghiali oramai da tempo si sono ibridati con i maiali e questo porta a covate non di uno, massimo due cinghialetti, ma anche di 7-8. I calcoli sulla riproduzione spontanea dei caprioli vennero a suo tempo completamente sbagliati dagli enti preposti, con il risultato che la popolazione è salita enormemente, mentre non è salito allo stesso modo  il numero di cacciatori autorizzati a cacciate di selezione.

Oramai non si tratta di un problema circoscritto a qualche produttore ma tocca in maniera più o meno grave non solo la viticoltura, non solo  tutto il settore agricolo  ma la sicurezza stessa degli abitanti. Proprio ieri andando da Poggibonsi a San Gimignano alle 8 di mattina mi hanno attraversato la strada ben 6 caprioli e oramai giornalmente si leggono notizie di incidenti stradali anche gravi a causa degli attraversamenti di cinghiali o caprioli.

Oramai cinghiali e caprioli vengono avvistati regolarmente nei centri abitati ed è veramente rischioso, sia di notte che di giorno, viaggiare per strade di campagna.

A questo punto il governo regionale deve intervenire con forza per cercare di fermare questo costosissimo  “Vinitaly”. Occorre ristabilire un equilibrio che permetta agli animali di crescere in tranquillità e ai produttori di fare senza problemi il loro lavoro.

Carlo Macchi

La poltrona abbandonata vista cantina del Castello di Meleto

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La piazzola di fronte alla cantina del Castello di Meleto, non è nuova all’odiosa pratica dell’abbandono dei rifiuti di ogni genere accanto ai cassonetti.

Da poco è comparsa una poltrona di stoffa da salotto retrò, dalla quale si possono ammirare le operazioni di vinificazione e l’andirivieni di trattori e carrelli d’uva presso la cantina.

Accanto gusci di dvd dai titoli esotici, damigiane sculate, residui di calcinaccio sparsi per la piazzola che le danno un tocco di perenne cantiere in allestimento.


Il Castello di Meleto arriva alle vie legali per difendersi dai danni degli ungulati

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Chi vive e lavora in agricoltura nel Chianti, ha ben chiaro alla fine di ogni vendemmia il danno che si ha nel frutto dei propri sforzi e la mancanza di prodotto da far fermentare all’interno dei tini aziendali.

L’ottimo Claudio Coli su “InChiantisette” da la notizia che l’azienda vinicola Castello di Meleto rappresentata dal presidente Guido Guardigli e dall’agronomo Giovanni Farina, sono sul piede di guerra verso alcune squadre di cacciatori che a loro dire, sono le responsabili della proliferazione degli animali a causa di una pasturazione abusiva, scientificamente mirata al mantenimento del numero dei capi attraverso il controllo capillare del territorio di caccia di propria pertinenza.

Le decine e decine di quintali di uva finite in pasto agli animali, a fronte del lavoro, degli investimenti aziendali e a protezione delle centinaia di persone che sul territorio vivono prestando opera nell’agricoltura, sono il danno e la causa che ha spinto l’azienda ad andare allo scontro con alcune squadre di cacciatori per vie legali.



Cesare Olmastroni

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cesare olmastroni foto di augusto mattioli da il cittadino on line

Negli anni ’70, Cesare Olmastroni venne ad affrescare il castello di Meleto e nel Chianti, a due passi dalla sua Siena, vi trovò pace, ispirazione, quiete e amore.
Sua la carta del Chianti affrescata nella stanza che si chiama “lo scrittoio”, dove era l’ufficio di “Baffo”, ( il vecchio fattore Alberto Matteoli) , dove venivano conservati registri vecchi di secoli ed erano annotate le storie e il lavoro di migliaia di persone.

E più recentemente l’affresco alle ex Cantine Ricasoli e la carta dei castelli del Chianti sulla facciata del comune di Gaiole, che abbellisce non poco il luogo.
Da dipendente del comune di Siena si era distinto per il restuaro e i decori che hanno interessato il patrimonio di Palazzo Pubblico e del Museo Civico, i Teatri dei Rozzi e dei Rinnovati.
Il restauro della Maestà di Simone Martini nella Sala del Mappamondo all’interno del comune di Siena.

E da senese, la gioia più grande di dipingere un Palio l’ha provata due volte, la prima nel luglio 1982 (vinto dalla Contrada del Valdimontone) e il secondo, unico Palio a due facce insieme a Cecilia Rigacci.
Sua la Madonna con un velo dentro al quale sono dipinti i tratti dei rioni più caratteristici delle Contrade che correvano nell’agosto 2013, e quel Palio bellissimo è stato vinto dalla Contrada dell’Onda fra le lacrime di un mare salato di gioia e dolore.


Il castello di Meleto presenta al Vinitaly il “Camboi 2014” una malvasia nera vinificata in purezza

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La novità del Castello di Meleto per questa edizione del Vinitaly (dal 9 al 12 aprile a Verona Fiere) sarà il Camboi 2014. Ultimo nato nella produzione dell’azienda è un inedito assoluto per il territorio: il vino è ottenuto da Malvasia Nera del Chianti, vinificata in purezza.

Un vitigno che in tempi recenti rischiava la scomparsa perché difficile da coltivare e, che grazie al Camboi, ridiventa protagonista del territorio. Un vino che, oggi, rappresenta la vera rinascita di Castello di Meleto.
Il vino prende il nome da un antico casale, unità poderale per tante famiglie di contadini all’epoca della mezzadria.


Affinità Elettive nel Chianti Storico fra Spaltenna, Capannelle e il Castello di Meleto

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La bella stagione porta sempre  nuove  idee, cosicché alcune tra le  più belle e rinomate  località del Chianti Storico si vestono di nuovo.

I loro parchi e giardini si popolano di figure in terracotta dello scultore Matthew Spender e le loro hall e saloni dei paesaggi dell’artista Maro Gorky.

Due artisti che già negli anni ‘60 scelsero come luogo d’elezione il Chianti: colti e curiosi esploratori, antesignani   di una più  popolosa schiera di frequentatori.

Artisti che hanno mantenuto intatte le peculiarità  più autentiche della loro ricerca artistica  che li spinse allora a stabilirsi fra queste colline.

Artisti che  saranno omaggiarli con un itinerario artistico che ha il chiaro sapore di  una ricerca, una possibilità di meditazione che mette in comunicazione le diverse località con i diversi allestimenti.

Tre strutture d’eccezione prendono parte al progetto: il Castello di Spaltenna, relais storico con stella Michelin, Capanelle, vera e propria eccellenzadel vino con il suo straordinario caveau ed il Castello di Meleto maniero ricco di stratificazioni architettoniche dall’ XI secolo, arricchito dal grazioso teatro settecentesco.

Il visitatore potrà conoscerli attraverso visite  e serate, programmate per tutta la stagione: musica, teatro e incontri.

Un cammino del buon vivere battezzato “Affinità Elettive” pensando a Goethe in un percorso di memoria e di emozioni.
Sabato 20 maggio, presso la corte del castello di Spaltenna: alle ore 18, presentazione del progetto “Affinità Elettive” con la mostra d’arte di Maro Gorky e Matthew Spender. Sarà illustrato il programma stagionale di musica, teatro ed  incontri che comprende Capannelle e il Castello di Meleto collegate  a Spaltenna  da un sentiero ad anello di 12 Km tracciato e segnalato specificatamente (in collaborazione con Fondazione Chianti Storico) e supportato da mappe e materiale informativo che condurrà i visitatori  alla scoperta di opere d’arte attraverso passeggiate nell’incantevole Chianti.


Nasce l’Associazione Viticoltori di Gaiole in Chianti

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Come giù da molto tempo a Radda, a Castellina e poi a Castelnuovo Berardenga, nasce anche a Gaiole l’Associazione dei Viticoltori, con lo scopo di promuovere le aziende del territorio comunale.

Aziende di ogni dimensione, insieme per dare un quadro più completo della produzione vinicola locale.
E’ grazie alla buona volontà di Francesco Ricasoli, che insieme a Emanuela Stucchi Prinetti, hanno costituito il primo embrione associativo a cui si sono immediatamente aggregate Rocca di Castagnoli, Il Palazzino, Capannelle e ovviamente Barone Ricasoli e Badia a Coltibuono.

Da maggio in poi hanno aderito buona parte delle aziende, fino alla composizione attuale: Badia a Coltibuono; Barone Ricasoli; Bertinga; Borgo Casa al Vento; Cantalici; Capannelle; Casanova di Bricciano; Castello di Ama; Castello di Lucignano; Castello di Meleto; Fietri; I Sodi; Il Colombaio di Cencio; Il Palazzino; La Casa di Bricciano; Le Miccine; Matteoli Agricola; Monterotondo; Podere Ciona; Poggi del Chianti; Riecine; Rietine; Rocca di Castagnoli; Rocca di Montegrossi; San Giusto a Rentennano; San Martino, Montagnani; San Vincenti.


Le bizzine di Castellina in Chianti

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castellina-in-chianti-foto-di-andrea-pagliantini

Cose grosse per il sindaco Bonechi di Castellina (sperando non si arrabbi per il suffisso) in Chianti, che borbotta come una pentola di fagioli a bollore per i fortori che ha in lui procurato senza citrosodina la presentazione degli scavi di Casa Rosa al Taglio da parte del benemerito Gruppo Archeologico Salingolpe, presso il Castello di Meleto, durante la manifestazione del “Festival delle scoperte” patrocinato dai tre comuni del Chianti, più Castelnuovo Berardenga e Cavriglia.
Il sindaco Bonechi voleva per Castellina l’anteprima, e non è bastata una damigiana della suddetta citrosodina a far digerire questa bizzina, nonostante sia consapevole del fatto che la presentazione del Gruppo Archeologico è stata fatta nel comune suolo del Chianti, unito da una storia di cinquecento anni, e non nei valdelsani e valpesani comuni di Barberino o di Tavarnelle, che hanno un’altra storia e un’altra geografia.
In ogni caso ci sarà una presentazione ufficiale del lavoro svolto anche a Castellina.

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